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Beach Volley, che passione!

L’altro giorno, mio figlio Carlo mi ha chiesto di scrivere due righe, o forse qualcosa di più, sulla nascita della beach volley, la nostra beach volley. Voleva sapere come tutto era iniziato, chi erano i protagonisti, e come questo sport fosse diventato parte della nostra vita. Così, armato di curiosità, mi sono messo a cercare notizie storiche su internet. Ho trovato due pagine interessanti: una della Gazzetta dello Sport e l’altra dello SWATCH WORLD TOUR, che raccontano come, dove e quando il beach volley sia nato, con i suoi interpreti e le sue competizioni. Le ho allegate per chi volesse approfondire.

Ma la nostra storia è un’altra cosa. È fatta di ricordi, di persone, di momenti che hanno segnato non solo la nascita di uno sport, ma anche la vita di una comunità. Per scrivere questa piccola “fatica”, ho chiesto aiuto al mio amico Nando. Quello che ne è uscito è il frutto delle nostre menti e dei nostri ricordi, un mosaico di aneddoti e avvenimenti che, forse, possono far rivivere un’epoca ormai lontana.


L’inizio dalla fine

Penso che l’introduzione migliore possa cominciare dalla fine, un ossimoro voluto. Come nei migliori film gialli, partiamo da un evento glorioso: la seconda partecipazione di un nostro discendente diretto alle Olimpiadi di Rio. Attraverso una serie di flashback, torniamo alle origini, a quei lontani anni Cinquanta, quando tutto ebbe inizio.

Era il 1955, e in quell’anno nacque China, la mamma di Daniele Lupo, il nostro campione olimpico. Quasi come se fosse un destino segnato, in quegli stessi anni, sulle spiagge romane, un gruppo di pionieri stava dando vita a qualcosa di straordinario.


Le origini: Vecchia Pineta e Fregene

Sulle spiagge di Vecchia Pineta, un gruppo di appassionati – Barbiani, Penteriani, Altea, Leonardo, Mioni, Barbicini e altri – importarono un nuovo gioco che avevano visto fare dagli americani: la palla a volo da spiaggia. All’inizio, non c’erano regole precise. Il campo era delimitato dal calcagno di un volontario, la rete era alta quanto un braccio alzato, e le partite si giocavano sei contro sei, quattro contro quattro, tre contro tre, o anche due contro due, a seconda del numero di giocatori presenti. Se mancava un giocatore, Barbiani non esitava ad avvicinare un bagnante disteso al sole e trascinarlo in campo, volente o nolente.

Erano partite dilettantesche, ma con il tempo, la bravura dei giocatori crebbe, e le partite divennero sempre più competitive. Frasi come “La pallavolo moderna vuole la battuta lunga” di Altea, o “Una corta e una lunga” di Bonanni, diventarono proverbiali. E poi c’erano i detti che facevano ridere: “Lunga sul corto, corta sul lungo”, e tanti altri che spero di ricordare.

Anche a Fregene il beach volley prese piede. Al Gambrinus, un altro gruppo di appassionati – Nando, Venantino, Magrini, Alberto Amici, Baviera – cominciò a cimentarsi. Ma alla Vecchia Pineta erano più bravi e numerosi, e così molti dei giocatori migliori si trasferirono lì. Un’altra ragione del trasferimento fu che Urbinati, il proprietario dello stabilimento balneare del Gambrinus, non voleva partite all’ora di pranzo.

Fregene, però, non era da meno. Sogno del Mare, Toni, Albos e Miraggio diventarono altrettanti campi da gioco. E così cominciarono le grandi sfide: Vecchia Pineta contro Fregene.


Le grandi sfide

Con i gommoni e le donne al seguito, Nando, Mizio, Aldo, Venantino, Baldoni e Magrini arrivavano al Sogno del Mare. Erano più tecnici e, per un certo periodo, sembrarono imbattibili. Ma piano piano, le forze e la bravura si equipararono, e fu guerra totale!

Tornei, partite, nuovi giocatori dalla pallavolo tradizionale che si cimentavano sulla sabbia, sotto un sole feroce. Da marzo a novembre, si giocava per quattro o cinque ore di fila, senza sentire la stanchezza. Arrivarono i fratelli Carbone: Stefano, Gianni il roscio, Pippo e Pappo. La foto storica con Calise al centro mostra una quantità di giocatori, tutti del Sogno del Mare.


Il Maestro Calise

Ugo Calise, il Maestro, merita un capitolo a parte in questa storia. Ugo monopolizzò la palla a volo dagli inizi, fino a quando la salute non lo costrinse a smettere. Era una figura leggendaria, un giudice implacabile e attento. Prima di essere ammessi a giocare, gli aspiranti dovevano superare delle prove: palleggio, battuta, e chi più ne ha più ne metta. Se non sapevi palleggiare o battere, restavi ai lati del campo a guardare gli altri giocare.

Tra i ricordi più divertenti, c’è quello del Marines americano, un omone di oltre due metri che si vantava di essere uno schiacciatore. Calise gli alzò tre palle, e lui le sbagliò tutte e tre. Cacciato dal campo, colpì il pallone così forte che scomparve in mare. Si allontanò mesto, bocciato senza appello.

Anche Fabrizio Rindi, detto Pelè, fu rimandato più volte. Esasperato dai rimbrotti di Calise, fece come il Marines: colpì il pallone con tutta la sua forza e se ne andò. E poi c’era Ghassan, il nostro carissimo amico libanese e cintura nera di karatè, che quando sbagliava si giustificava con un “È stato il vanto (vento), maestro!”. La risposta di Calise era sempre la stessa: “Ma qua viento, segone di m…”.


Il bibitone e i campi “a misura di Calise”

All’inizio della stagione balneare, il campo veniva delimitato con i piedi, e la rete e i pali erano forniti da noi. Ma a Fregene, la lunghezza del campo era subordinata alla “mazzata Calisiana”, un colpo fortissimo dato a bilanciere dal Maestro, sempre a favore di vento. Il punto dove cadeva il pallone determinava la lunghezza del campo, che poteva variare dai canonici diciotto metri a venti, ventiquattro, o anche più.

E poi c’era il bibitone, la bevanda mitica che si beveva dopo le partite. Gli ingredienti? Due bottiglie di vermentino, quattro Campari soda, due bottiglie piccole di gazzosa, cubetti di ghiaccio in abbondanza, fette di limone e pesche tagliate.


Il ricordo di Ugo

Il ricordo che ho, nitido nella mente, è quello di Ugo Calise la sera, quando finivano le partite. Si avviava verso il mare con il suo gonnellino (una versione antica del pareo di oggi) e restava immobile a fissare l’orizzonte. Lui e il mare, immobili, in un silenzio che sembrava durare per sempre.


Oggi e domani

Oggi, il 3×3 rivive in alcuni tornei importanti per noi: da quello di Santa Severa a quello dell’Albos. Ci sono i memorial per ricordare gli amici che ci hanno lasciato: Over Quaranta, Lory, Lino e Romano. È un’eredità, una tradizione che spero continui per sempre, con i miei nipoti e i loro amici, fantastici rappresentanti di questa passione.

Il beach volley, per noi, non è solo uno sport. È una storia di amicizia, di sfide, di mare e di sole. È la nostra storia.

 

Giorgio Lupo

Nando Lo Giudice

 

 

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